La guerra in Medio Oriente sta distruggendo le relazioni fra le comunità cristiana e mussulmana e in Terra Santa il persistere di un clima di logoramento fra palestinesi e israeliani ha generato nell’intera popolazione un senso di grande sfiducia.
I cristiani che decidono di restare a vivere in quelle Terre non rinunciano alla loro fede ed anzi la professano, vivono della promessa di Dio e sanno di vivere della relazione con Lui.
“Ulisse parte da Itaca, attraversa molte traversie, ma la sua prospettiva era quella di ritornare a casa, nella sua terra.
Abramo invece parte sapendo che non sarebbe mai più potuto tornare a casa: aveva solo la promessa di Dio su cui contare.
I cristiani in Medio Oriente oggi devono fare come Abramo: rimpiangere il passato, pensare che le cose possano tornare come prima potrebbe essere una tentazione. Non sappiamo come sarà il futuro, ma sappiamo che viviamo all’interno di una relazione, della relazione con Dio”.
E’ questo il senso delle parole con cui P. Pierbattista Pizzaballa OFM, Custode di Terrasanta, ha chiuso oggi (21 Gennaio 2016) il suo intervento ad Albenga, presso l’Auditorium del Centro Scolastico Diocesano “Redemptoris Mater”, in occasione della memoria dei due confratelli biblisti Padre Marco Adinolfi e Padre Giovanni Battista Bruzzone, già docenti presso l’Istituto di Scienze Religiose di Albenga.
Dopo il ricordo personale di P. Pizzaballa dei due religiosi, che gli diedero un esempio di grande libertà nello svolgimento del loro servizio all’Ordine Francescano e alla Chiesa, il Custode di Terrasanta ha parlato della situazione medio orientale, in particolare in Siria ed Iraq e di come vivono i cristiani in quei Paesi e in Terra Santa.
“Una situazione estremamente complessa che probabilmente durerà ancora per molto tempo” – ha detto il religioso a margine dell’incontro, cui ha partecipato anche il Vescovo coadiutore S.E. Mons. Guglielmo Borghetti. Oggi non stiamo assistendo ad una delle frequenti crisi medio-orientali del passato – ha sottolineato P. Pizzaballa - ma ad cambiamento epocale drammatico, che nessuno in realtà sembra ormai in grado di prevedere e di governare.
Già a partire dalla terminologia con cui si identifica l’area geografica in questione, occorre rilevare che quello che noi occidentali ed europei definiamo come “Medio Oriente”, per il mondo arabo non esiste, bensì esistono i “Paesi Arabi”.
In Siria – ha detto il relatore - la guerra è innanzitutto una guerra civile iniziata da parte di tanti cittadini che si sono ribellati al governo dittatoriale di Assad; poi è una guerra intra-mussulmana, che vede da una parte la maggioranza dei sunniti, appoggiati da Arabia Saudita, Qatar, Usa ed Europa, e dall’altra la minoranza degli sciiti, appoggiati dall’Iran, dalla Russia e dalla Cina.
Il ruolo della Turchia sta cambiando e sta determinando ulteriori scenari imprevedibili. In questa guerra, che comincia a logorare un po’ tutte le parti in campo, la posta in gioco è riuscire ad avere le carte migliori per assicurarsi il potere una volta che la guerra sarà finita.
Già oggi, quindi, si sta combattendo in vista del potere futuro. In terzo luogo, non si può comprendere la situazione in Medio oriente se non si comprende che in quelle terre è impossibile distinguere l’elemento religioso da quello politico e sociale.
Vivere in medio oriente e appartenere ad una determinata fede significa APPARTENERE ad una precisa comunità in cui si nasce (cattolica o mussulmana), a prescindere dall’essere o meno effettivamente credenti. Per esempio non esistono nei Paesi Arabi i matrimoni civili, ma solo religiosi, proprio per mantenere l’appartenenza alla comunità di nascita.
Infine, ma non ultimo per importanza, la guerra in Medio oriente nasce dall’elemento del fondamentalismo religioso di radice islamica, che tende ad eliminare non solo i cristiani, ma tutte le minoranze religiose o etniche e che investe lo stesso mondo islamico nella lotta per il potere fra sunniti e sciiti. E’ l’elemento religioso che canalizza tutte queste lotte di potere interne al mondo arabo.
Per quanto riguarda la Terra Santa, con la questione Israelo-palestinese, non ci sono particolari novità, non è in atto una vera e propria guerra, non ci sono negoziati di pace sul tavolo da discutere, ma persiste una situazione di permanente logoramento di nervi che ha generato in tutta la popolazione un senso di grande sfiducia, per cui nessuno crede più alla possibilità di raggiungere accordi di stabilizzazione e di pace nell’area.
P. Pizzaballa ha poi illustrato con alcuni esempi concreti la situazione in Siria e in Iraq, citando i casi di Aleppo, Damasco, Sirte, Mosul dove si combattono le milizie di Assad e le diverse fazioni di “Daesh” (Isis), di al-Qaida e altri gruppi di ribelli o di semplici bande criminali. I cristiani in Iraq erano circa 2 milioni, oggi sono scesi a 200-300.000 e in Siria, dove ormai non funzionano più le scuole, le banche ed intere città sono senza acqua e senza luce, i due terzi di cristiani sono fuggiti.
Le uniche Chiese sopravvissute ai bombardamenti in Siria sono le 3 chiese dei francescani e sono diventate il centro di culto anche delle altre confessioni ortodosse e armene, le cui celebrazioni si alternano a quelle cristiano-cattoliche. E almeno questa è una nota positiva in mezzo a tanta violenza che sembra non trovare vie di uscita.
Infatti, uno degli effetti più radicali della guerra in atto in Siria e in Medio Oriente è quello di aver distrutto le relazioni fra le comunità, i rapporti soprattutto fra cristiani e mussulmani: quando la guerra finirà sarà molto difficile recuperarli” e “senza misericordia non sarà possibile ricostruirli”.
I cristiani che decidono di rimanere, mettendo continuamente a rischio della loro vita ed accettando limitazioni pesantissime alla loro libertà e dignità (imposte dai miliziani di al-Qaida ai cristiani che decidono di non abbandonare la loro terra, mentre Daesh non ammette a nessuno di restare se non si converte all’Islam), non solo non rinunciano alla loro fede, ma la professano e chiedono di poter celebrare l’Eucaristia ogni domenica. “E’ per questo che dico che il cristianesimo in Medio Oriente è ferito, colpito, ma non annientato – ha evidenziato P. Pizzaballa - E rinascerà, come l’ulivo che, anche quando è tagliato torna a crescere, avendo delle radici profonde”.
Ad una domanda su cosa significhino in concreto il perdono e il dialogo, in contesti così difficili, dove magari il perdono non viene accettato o richiesto così come il dialogo, P. Pizzaballa ha detto: “Ogni comunità deve fare il suo percorso, la sua sintesi, e possono essere necessari degli anni. Il perdono prevede delle tappe, definire con precisione cosa esattamente desidero perdonare e non permettere che il male fatto da un altro ferisca la mia libertà, diventi anche il mio male. Il compito del cristiano non è eliminare il male: quello è il compito dell’anti-Cristo, perché il male è il portato della libertà dell’uomo ed eliminarlo equivarrebbe ad eliminare la libertà dell’uomo. Il compito del cristiano è vincere il male con il bene. Quando S. Francesco chiese al Signore, se fosse stato possibile, di fargli provare per un momento il dolore che provò quando gli conficcarono i chiodi nelle mani, chiese anche di fargli sentire l’Amore che aveva nel cuore. Il compito del cristiano non è solo assumere il dolore ma amare come Gesù amò sulla Croce”.
di Stefania Venturino (www.stefaniaventurino.it)
(nella fotografia P. Pierbattista Pizzaballa e S.E. Mons. Guglielmo Borghetti, Vescovo coadiutore di Albenga-Imperia)
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